Cala la disoccupazione nel nostro paese ma secondo un famoso esperto del settore questo non è un bene: cerchiamo di capire perché.
Appena leggiamo su qualche giornale o sentiamo dire al TG che in Italia la disoccupazione è in calo, tutti esultiamo pensando che si tratti di un dato positivo e incoraggiante. Purtroppo non è sempre così. Anzi: secondo un noto economista ed esperto del settore, a volte il calo della disoccupazione non contribuisce alla crescita di un Paese.
Sappiamo bene che la disoccupazione in Italia è al di sopra della media dell’Unione europea e il dato che più preoccupa è la disoccupazione giovanile. Tutto sommato se una persona è disoccupata a 60 anni, può beneficiare della Naspi e poi accedere direttamente alla pensione con misure pensate proprio per agevolare anche chi ha perso il lavoro come, ad esempio, Ape sociale o Quota 41 oppure Opzione donna.
Ben diversa è la storia se ad essere disoccupati sono ragazzi e ragazze di 25-30-35 anni: un età in cui gli studi ormai dovrebbero essere terminati e si dovrebbe già lavorare in modo stabile e continuativo. Oltre a rappresentare una piaga economica, la disoccupazione giovanile è anche un problema sociale: giovani senza un lavoro sono anche giovani impossibilitati a progettare il loro futuro.
Di conseguenza tutti pensiamo che quando ci viene detto che la disoccupazione è in calo, sia sempre e comunque un dato positivo. Purtroppo non è così. Un esperto del settore, l’economista Pawel Adrjan, docente a Oxford e responsabile della ricerca dell’area Emea e Apca di Indeed, ci spiega che il calo della disoccupazione, talvolta, è indice dell’inizio di un problema ancora più grave.
Disoccupazione: ecco perché non sempre è un bene quando cala
Se pensavi che il calo della disoccupazione rappresentasse sempre e comunque un bene per l’economia di un Paese, sbagliavi di grosso. Un famoso economista responsabile della ricerca di Indeed – rinomata piattaforma di offerte di lavoro – ci spiega perché, a volte, il calo della disoccupazione sia un dato negativo.
Quando parliamo di lavoro, tutti siamo soliti a polarizzare il mondo verso due estremi: occupati e disoccupati. Escludendo, naturalmente studenti e pensionati. Ma non è tutto così semplice. Tra le persone in età da lavoro non ci ci sono solo “occupati” e “disoccupati” ma anche “inoccupati”.
La differenza tra disoccupati e inoccupati è sottile ma essenziale per capire dove sta il vero problema dell’Italia: il disoccupato è colui che cerca attivamente un lavoro magari iscrivendosi ai centri per l’impiego o frequentando corsi di formazione finalizzati proprio al reinserimento nel mondo del lavoro o anche solo candidandosi alle varie offerte sui portali. Gli “inoccupati”, invece, sono i cosiddetti “neet”: persone che non lavorano e non partecipano attivamente in nessun modo alla ricerca di un’occupazione.
Negli ultimi mesi in Italia è calato il numero di disoccupati ma è aumentato il numero degli inoccupati, cioè di coloro che non cercano neanche più un lavoro e che non provano neanche a candidarsi alle varie offerte. L’economista Pawel Adrjan – ai microfoni della Stampa – ha spiegato: “Gli annunci di lavoro su Indeed sono ancora superiori del 56% rispetto ai livelli pre-pandemia. Questo riflette una domanda sostenuta di lavoratori, coerente con i dati Istat sul tasso di posti vacanti. Tuttavia, c’è un paradosso: mentre le aziende faticano a trovare personale, la partecipazione alla forza lavoro rimane bassa”.
Questo penalizza non solo la produttività e la crescita ma anche il settore previdenziale naturalmente in quanto meno persone lavorano e meno persone verseranno contributi all’Inps la quale sarà sempre più in difficoltà ad erogare gli assegni. Di conseguenza il primo problema da risolvere non è la disoccupazione ma l’inoccupazione: la mancanza di ricerca attiva di un lavoro.